A voi la parola.

«L’Italia è sempre stato – si legge in una nota degli organizzatori, Giusva Branca e Raffaele Mortelliti di strill.it (quotidiano calabrese sul web) – “il Paese della doppia morale”, dei vizi privati e delle pubbliche virtù. Ma cosa è scandalo? In funzione di cosa muta il concetto di scandalo? Al passare del tempo? Alla localizzazione geografica? Alle tematiche trattate? Ai protagonisti dello scandalo medesimo? E tutto ciò che mira, da un lato a silenziare lo scandalo e, dall’altro, opposto, a generarlo ad arte non è scandaloso più dello scandalo stesso? E, ancora, lo scandalo è tale in quanto tale o lo diventa nella misura in cui diventa di dominio pubblico? E allora, per dirla  in gergo giornalistico, cosa finisce in pagina? Cioè lo scandalo va pubblicato o, viceversa, è la pubblicazione che crea lo scandalo

La seconda edizione di “Tabularasa 2011 – Lo scandalo”, che tante approvazioni aveva ricevuto al suo esordio, quest’anno ha deciso di esporsi ulteriormente, cercando di dare e darsi delle risposte per ben venti serate, con oltre sessanta ospiti tra intellettuali, giornalisti, magistrati, scrittori, artisti, musicisti, e soprattutto popolo. Ma non mancheranno nemmeno i rappresentanti della stampa straniera, pronti a mettere l’Italia nuda davanti allo specchio, senza badare a compromessi.

Il primo appuntamento, il 7 luglio, avrà luogo nella Piazza del Castello Aragonese di  Reggio Calabria, e si svilupperà sul tema “Donne e uomini assassinati dalla ‘ndrangheta”; protagonisti Danilo Chirico e Alessio Magro della onlus DaSud, che presentano il volume Dimenticati, portando avanti il recupero della memoria calabrese. Accanto a loro Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Francesco Forgione, già Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia e Filippo Veltri, Responsabile redazione calabrese Ansa. A chiudere la serata provvederà la grinta dei Kalafro, band indipendente che fa della sua musica un documento di denuncia contro la cultura mafiosa.

Per il programma integrale si rimanda al sito http://www.strill.it

A testa in giù

Chi si aspettava un libro di filosofia ha capito ancora ben poco del fenomeno “mafia”. Perché poi la mafia, non è un fenomeno. Loro hanno pensato bene di farla diventare o di farla restare un fatto meramente culturale, una sorta di atto folkloristico da illustrare al turista di turno; invece la mafia esiste, e quando si tratta di ‘ndrangheta, nel caso specifico, viene fuori un’immagine della Calabria, che se proviamo a rivoltarla, come le tasche della nostra giacca, ci rovesciamo addosso un’infinità di immondizie.

E’ un’inchiesta fresca fresca di stampa, quella che Nino Amadore porta avanti in “La Calabria sottosopra”. Uscito per i tipi della Rubettino editore di Soveria Mannelli, “La Calabria sottosopra” ha appena 115 pagine (euro 12), ma sono abbastanza per decidere di mettere a nudo un volto sconosciuto ai più, o per tutti quelli che fanno finta di non vedere o che magari credono che la ‘ndrangheta possa estirparsi facilmente: basta denunciare. Si, la lotta contro l’illegalità è un buon punto di partenza, ma non basta, perché la ‘ndrangheta in Calabria, ce l’abbiamo fin dentro casa, fin dentro le mura delle nostre scuole, nelle aule delle università, in luoghi dove dovrebbe regnare la giustizia. E invece i mafiosi moderni, hanno appeso al chiodo coppola e lupara, hanno mandato i figli a studiare e poi gli hanno insegnato il metodo. Gli uomini della mafia adesso, non sono soggetti sollecitati al crimine, che rappresentano pedine facili in punti chiave del sistema Paese, ma sono quei figli stessi che cresciuti e pasciuti all’ombra della connivenza, hanno occupato gli scranni istituzionali. Vi pare poco ? Per Nino Amadore, giornalista messinese e oggi redattore de Il Sole 24 ore, a Palermo, da vent’anni sulla notizia e da sempre a caccia di notizie scottanti e inchieste scomode, è anche abbastanza per affermare che la ‘ndrangheta è un cancro, anzi una vera e propria “classe dirigente” che ha imparato a stare nei salotti buoni, negli enti locali, persino nelle logge massoniche.

“La Calabria sottosopra”, la cui prefazione è affidata a Francesco Gaeta, apre un quadro sconcertante dove non c’è salvezza per nessuno, ognuno ha il suo peccato: soprattutto i calabresi, che di futuro né come verbo né come prospettiva, non ne vogliono sapere.

Kalafro Sound/resistenza terrona

Aria di rinnovamento e voglia di riscatto. Domande dirette e risposte chiare. Amore per la propria terra e desiderio di mostrare il vero volto della Calabria. Giovani che si appassionano all’identità meridionale, che non rifiutano il sacrificio sia di andare sia di restare, che non si vergognano di essere “terroni”. Giovani che denunciano, che non si arrendono, classe generazionale di piccoli fenomeni, eroi della lotta quotidiana contro i poteri forti. Il cuore alla Calabria, la mente alla verità e la musica per dare voce alla dignità. Con questi ingredienti, i Kalafro, collettivo musicale reggino (www.kalafro.it), cinque elementi stabili e altri che vanno e vengono, presentano il loro ultimo cd – “Resistenza sonora” – una fatica che ha visto il sostegno di associazioni come DaSud, LiberaReggio e Scena Nuda, diretta da Teresa Timpano. L’arte dunque, il faro della civiltà; una rivolta sincera che passa per i toni della musica contemporanea, attraverso testi che muovono accuse, e dentro i quali i personaggi della nostra politica, dal locale al globale, appaiono come grottesche esistenze a capo di un sistema sempre più comprimente. Il concerto si è svolto al ristorante “L’Accademia” di Lazzaro (Reggio Calabria), luogo simbolo della non resa, locale che ha detto “no al pizzo”. Sfuggire al meccanismo del racket, è ancora oggi un atto di coraggio e chi lo fa paga un prezzo alto in termini lavorativi. Eppure la criminalità organizzata, sempre più invischiata in maneggi internazionali, non molla le sue attività tradizionali trascinando in questo inferno molte piccole realtà reggine.

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In risposta ad un commento

Che Yoani Sanchez venga pagata (probabilmente, forse, può essere, non si sa..) dalla Cia o da qualunque altra associazione anticastrista americana e non, a me, francamente, non interessa! Il fatto che io abbia pubblicato un breve articolo su questa persona, non vuol dire che io sia dalla sua parte, né che sia una fans sfegatata di questa blogger e del suo agire. Ne ho parlato semplicemente perché è una donna; e qualunque sia la sua posizione in merito al governo di Fidel Castro o in merito ai rapporti con gli Stati Uniti, per me resta sempre una donna audace, sia nell’uno che nell’altro senso. Io qui non sto a giudicare se sia sbagliato o meno quello che fa, non sono io che la devo redarguire, sarà la storia e saranno i suoi stessi connazionali, che comunque in questo momento, non possiamo negarlo, vivono una fase di “transizione” rispetto al resto dell’America latina, che è storica. Ancor più se si pensa, che forse Cuba è uno degli ultimi paesi, magari l’unico, a mantenere un modello socialista. Da questo punto di vista forse mi potrebbe interessare capire, se ciò che dice Yoani Sanchez sia verità o menzogna. Ma per farlo dovrei trasferirmi per qualche tempo sull’isola caraibica e toccare con mano la realtà locale, e non certo da turista. Solo parlando con la gente, percorrendo le strade di Cuba credo che si possano conoscere le verità del popolo. Qualcuno lo ha fatto ed io non sono certo la più titolata ad occuparmi di questioni politiche internazionali. Ma tant’è ! Di certo so una cosa; che qualunque modello inventato dall’uomo è fallace. Mi spiego meglio. Il modello socialista è sicuramente quello che maggiormente promuove la perequazione sociale, tentando un’adeguata distribuzione della ricchezza e garantendo i servizi sociali minimi, specie istruzione e sanità. In questo Cuba non si discosta.

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Nel segno di Peppe Valarioti

Hanno solo trent’anni e quando i primi omicidi politici alla fine degli anni ’70, scalfivano la quiete delle estati calabresi, loro erano appena nati. Eppure, non è mancato il coraggio di riaprire una pagina storica dolorosa per la Calabria e soprattutto per Rosarno, nella provincia reggina. Balzata agli onori della cronaca in questo lungo inverno, per la rivolta degli immigrati, Rosarno e un giovanissimo segretario di sezione del Partito Comunista Italiano, sono i protagonisti de Il caso Valarioti, con i contributi di Giorgio Bocca, un inviato del Nord a Sud, Enrico Fontana, giornalista ed esponente della società civile, Giuseppe Smorto, condirettore di Repubblica.it, e la prefazione di Filippo Veltri, caporedattore di Ansa Calabria.

Scritto a quattro mani da Danilo Chirico e Alessio Magro, Il caso Valarioti, edito Round Robin, viene pubblicato a trent’anni dall’assassinio di Giuseppe Valarioti, rosarnese, docente precario, intellettuale, attivista politico, convinto che politica e cultura fossero le armi giuste per attuare il cambiamento, per dare un’opportunità al suo paese. Il 10 giugno 1980, il PCI, in Calabria, otteneva la sua vittoria, ma per Peppe Valarioti, troppo abituato a parlare, a caldeggiare certe verità, è l’ultima festa insieme ai compagni di partito. Viene freddato dalla nascente ‘ndrangheta quella stessa notte, e su di lui cala il silenzio. Mentre sul territorio della Piana, cala la scure del compromesso affaristico, un oblio mafioso che ancora oggi non vede via d’uscita.

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Svenduti

Claudio Cordova è un giovanissimo, e come tutti i giovani ha coraggio da vendere, tenacia, curiosità, passione soprattutto. Ed è questo elemento che lo ha sorretto in una ricerca spasmodica della verità. Le difficoltà, il rischio, il fatto stesso di non essere preso sul serio per la sua faccia ancora da adolescente, non hanno fermato il suo desiderio incolmabile di giustizia. Una sete di onestà, nella quale ci sentiamo accomunati, come giovani e come giornalisti che, pur vivendo “in frontiera”, quotidianamente sulle barricate contro il malaffare diffuso, hanno imparato a dire ciò che pensano. La ricerca della verità si è ora trasformata in un libro denuncia edito dalla Laruffa.

Terra venduta. Così uccidono la Calabriaviaggio di un giovane reporter nei luoghi dei veleni, è questo il titolo/manifesto dell’inchiesta prodotta dall’ostinazione di Cordova, ma anche da una perizia che lo ha condotto a toccare con mano i luoghi splendidi della nostra Calabria svenduti al migliore offerente, asfissiati dalle esalazioni velenose. Il libro di Cordova racconta una verità scomoda che ormai è diventata la verità di tutti noi calabresi.

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U tingiutu

Negli ultimi anni c’è una certa editoria pioniera, che tenta di rappresentare la Calabria produttiva. Di eccellenze, in questo territorio mangiato dalle speculazioni, degradato dal malaffare e impoverito da proiezioni distorte di una data cronaca rapace, in realtà ve ne sono molte. Vivere nel territorio della ‘ndrangheta, non significa necessariamente dover soccombere agli eventi, e siccome l’eredità antropologica ce la portiamo addosso come una seconda pelle, allora l’unica soluzione è spiegare agli altri, come siamo, chi siamo e perché. Ecco che nascono proposte culturali che vanno in questa direzione, come il teatro impegnato o come la collana editoriale “Teatro in tasca”. Un’operazione di marketing culturale promossa da Abramo Editore, un’industria che si arrampica sull’ignoto per portare sul banco delle primizie calabresi anche dei suggerimenti d’avanguardia intellettuale. In questa operazione privilegiata si colloca l’uscita del libro U Tingiutu. Un Aiace di Calabria. Il volume nasce dopo l’esperienza teatrale di Scena Verticale votata ad analizzare i diversi piani del dialetto cosentino, e in particolare di Dario De Luca, che per la prima volta si confronta col mito classico, spingendo la lente d’ingrandimento sulle genealogie contemporanee. U Tingiutu. Un Aiace di Calabria, andato in scena al Festival Teatri delle Mura di Padova, è ora un volume in pieno stile drammaturgico, sintetico e rampante, che si può leggere comodamente in breve tempo e si può metabolizzare pur senza aver visto lo spettacolo.

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