In ricordo di Jolanda Gigliotti, in arte Dalida

“Tête d’affiche” è un’espressione francese, che rende molto poco lo spessore della carriera musicale di Dalida. Paragonata più volte a Edith Piaf, per aver contrassegnato maggiormente la musica leggera francese, per aver portato alle stelle la fama già consolidata del celebre Olympia tra gli anni ’60 e i primi anni ‘80, Dalida è stata soprattutto una vedette del music hall. Il suo grande talento fu quello di essersi saputa reinventare ogni volta che il vento delle mode musicali accennava a cambiare. Non una caricatura, come molti incoscienti della sua fama possono pensare, ma una professionista duratura, dalla tecnica e dal metodo atroci, laddove alle operazioni commerciali si affiancava un approfondimento sempre più intenso e personale della musica. Da icona popolare/internazionale a cantante tragica; da simbolo degli emigranti con la sua verve etnica in grado di unire le culture ad interprete infaticabile di testi d’autore con un intenso studio della canzone francese e italiana (anche grazie a Luigi Tenco), fino alla canzone impegnata, ma senza mai abbandonare il tema dell’amore, seppur frivolo. Nemmeno le ragazze “yé – yé” la spaventano, le rockers con la voce da alcolizzate o la disco music che invade gli anni ’80. Dalida è all’altezza di tutto, complice la sua voce da contralto-mezzosoprano caratterizzata da una tessitura di particolare profondità e intensità espressiva. Un dono che nessuno è in grado di imitare. E la sua teatralità intrinseca, quel senso tragico della vita e della morte, che l’accompagna nei suoi spettacoli, vere e proprie opere d’arte cariche di costumi di scena, parrucche, trucco eccessivo, balletti, boys, piume. Tranne che nel periodo “mistico”, quando dopo la tragedia di Tenco cerca di ritrovare se stessa con viaggi spirituali in Nepal. Si presenta sulla scena una Dalida/Madonna, la Santa, con lunghi abiti bianchi, immagini diafane e quelle calde lacrime che scendono nel concludere sulle note di “Ciao, amore ciao”. La canzone diventa per Dalida, fin da subito, il suo unico modo, e il più autentico, per raccontarsi, intrattenendo una storia d’amore eterna col pubblico.

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FLI: scacco vincente a destra e a sinistra

Dimentichiamoci la destra conservatrice, xenofoba, nazionalista, la destra delle svastiche e delle leggi razziali, la destra espressione dei ceti alti, dei finanzieri e dell’industria, dimentichiamo quell’immagine obsoleta di destra tradizionale, e mettiamoci chiaro in testa che oggi, in Italia, si deve parlare solo di “destra sociale” alla Fini. Ebbene si, Gianfranco Fini, cresciuto ai piedi di Almirante, esattamente come San Paolo ai piedi di Gamaliele, è l’uomo della svolta in grado di superare la più antica dottrina conservatrice e di aprirsi all’europeismo e addirittura alla sinistra. E tutto nel nome sacrosanto di un’Italia unita. Privo di slanci, il Bel Paese pare ora ritrovare dietro il fairplay di Gianfranco Fini quel coraggio che gli occorre per reagire alla decadenza e al declino.

E’ già la quarta volta che Futuro e Libertà, nuovo soggetto politico finiano a tutto tondo, creatura che finalmente non deve essere divisa fra due genitori separati in casa, si presenta al Paese. Al Teatro Manzoni di Bologna, Futuro e Libertà si è rivolto ai giovani. La risposta non è venuta meno, a vedere la sala gremita e un numero crescente di giovanissimi provenienti spontaneamente dalle regioni limitrofe, accalcati ai lati ad ascoltare l’intensa kermesse finiana. E a onor del vero il consenso giovanile appare doppio, secondo i dati, nei confronti di Futuro e Libertà, se paragonati alle altre forze politiche.

Gianfranco Fini leader, Gianfranco Fini presidente, Gianfranco Fini salvatore della Patria, Gianfranco Fini, il messia, l’ultima alternativa per il risveglio politico dell’Italia, Gianfranco Fini sembra convincere in maniera molto più seria di una sinistra confusa e “confusionata” da troppo tempo, stralunata e arroccata nella ricerca spasmodica di un leader che piaccia a tutti. Una sinistra, che anziché ascoltare le istanze della gente, sguazza nelle beghe interne, perde tempo a realizzare il modello superdemocratico. Incapace di piegare la massa a suo favore, oggi la sinistra perde colpi, lasciando agli audaci come Fini, larghe fasce sociali tradizionalmente di cultura rossa, ma che oggi si ritrovano sul palco a raccontare la loro storia di sacrificio, di lavoro, di studio, di passione, davanti ad un leader di destra. E parliamo di operai, piccoli e giovani imprenditori, ricercatori, scrittori, giornalisti, universitari che non sanno più a che santo votarsi. Così, in questa mistura di litigi, corruzione, mancanza di moralità e di punti etici, indecisione, debolezza istituzionale, stanchezza dei partiti, inesistenza dell’opposizione, allora meglio votarsi a santo Gianfranco, che almeno ha avuto il coraggio di alzarsi e dire la sua!

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