Musica da “briganti”

Eugenio Bennato, punto di riferimento per la musica popolare italiana giovedì 20 gennaio presenterà in FNAC Torino (Via Roma 50) il suo “Brigante se more. Viaggio nella musica del Sud” (Coniglio Editore). Sarà accompagnato da Giulio Tedeschi. Il libro, di nuova pubblicazione, descrive la resistenza del popolo meridionale all’invasione piemontese del 1860, illustrandola con una serie di rare foto d’epoca. “Brigante se more” è anche la storia della ballata omonima, scritta da Bennato negli anni Settanta e diventata nei decenni un inno per migliaia di giovani appassionati.

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“Di Nuovo” in lotta: “Libere” a teatro

Andiamo tutte a teatro. E dico “tutte”. Anzi no, ma che dico forse è meglio che ci siano anche i “tutti”, perché le donne meritano di essere ascoltate dagli uomini. Allora il teatro è l’arena per fare incontrare i due generi, ma soprattutto per dire finalmente come stanno le cose.

L’iniziativa si deve a Cristina Comencini, che nella scorsa estate ha messo su un’associazione. All’inizio era solo una specie di salotto virtuale, le amiche che si sfogano, ma non dei soliti compagni che ti abbandonano, ma di quel malessere che ti provoca l’egoismo maschile trasformato in sistema planetario. Poi è nato il progetto, così “Di Nuovo” è un cenacolo che raccoglie donne di ogni area geografica, di ogni età, professione, estrazione sociale, cultura. Perché si parli di come vanno le cose nel nostro paese, che secondo la Comencini «non è un paese per donne». Quarant’anni di lotte, avrebbero dovuto fare la differenza, ma se anche ci sentiamo più colte ed esperte, probabilmente emancipate, rispetto alle nostre madri e alle nostre nonne, il raccolto di ciò che abbiamo seminato è ben poco se ancora l’Italia è un luogo per maschi.

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Scrivere.. che passione!

Tra i giovani scrittori calabresi c’è ora Angela Bubba. La sua notorietà, pur essendo appena ventenne, risiede tutta nel talento che la contraddistingue; una penna che già Vogue e il domenicale de Il Sole 24 ore si sono voluti accaparrare.

Angela Bubba sarà a Reggio Calabria il prossimo 10 gennaio ore 11 a Palazzo Foti, sede della Provincia di RC, grazie al concorso “Raccontiamoci” promosso dalla casa editrice reggina Iiriti. Un’azienda in crescita anche grazie alle intuizioni di Leo Iiriti, giovane imprenditore che ha saputo trasformare l’azienda di famiglia in poco tempo, lanciandola sul mercato editoriale globale con testi istituzionali e manuali universitari, senza però tradire le radici. “Raccontiamoci” è un concorso che coinvolge le scuole, gli alunni che più amano la scrittura e che magari sognano di farne una professione, come Angela Bubba che all’età di 11 anni vinse il suo primo concorso di scrittura. Da quel momento, il racconto, è stato la sua passione, tanto che con il suo primo romanzo La casa, è finalista alla LXIV edizione del Premio Strega. Il romanzo è ambientato a Petronà, paesino calabrese del quale ora è anche cittadina onoraria e rimanda a quel sapore meridionale, che tanto accomuna gli scrittori sui generis, geniali, della nostra terra, come Saverio Strati, come Corrado Alvaro e come tanti altri che hanno nell’anima un senso di amore/odio per la Calabria. Il linguaggio poi, per la Bubba è un’idea, tanto che il romanzo si fonda su uno stile italiano inesistente; ma forse è proprio questo il suo incredibile talento. La Bubba grazie a questa pubblicazione ha vinto inoltre il Premio “What’s up” 2009, sezione Cultura.

Angela Bubba è nata nel 1989, a Catanzaro (attualmente vive fra Crotone e Roma). Nel 2006 conquista la vetta del Premio Verga con Novelle dal vero a Vizzini (Catania); nel 2007, anno in cui consegue la maturità classica, arriva in finale al Subway Letteratura ed al Campiello Giovani, e nel 2008 è finalista al Premio Calvino. Un suo racconto invece, Passeggiata, è stato da poco pubblicato in Terra, raccolta di narrazioni di scrittori calabresi. Laureata in Lettere presso l’Università La Sapienza di Roma, attualmente scrive anche per la rivista culturale Il Sileno, per la quale cura la sezione Eurekabook.

Di che casta sei ?

E’ un altro calabrese a parlare. E non si vergogna a raccontare nemmeno aneddoti della sua casa d’origine, in quella Catanzaro di cui ha assorbito il dialetto tanto odiato dalla madre. Ma se è vero che ieri i figli del Sud faticavano a superare gli esami universitari perché dovevano stare attenti all’accento, è anche vero che oggi hanno guadagnato pari opportunità in termini di istruzione, con le università sottocasa, ma la mobilità sociale e la meritocrazia sono ormai un ricordo lontano, ancorato agli anni ’60 quando l’ascensore sociale e con lui, anche quello economico, saliva sempre più su. E’ solo un passaggio del nuovo testo di Antonio Catricalà: “Zavorre d’Italia” edito Rubbettino (74 pagine, euro 12). Oggi è un magistrato, è presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, insomma dell’Antitrust, ed è soprattutto un docente esperto di diritto con le idee molto chiare su tutto quello che frena il paese.

In modo molto schietto Catricalà fa un’analisi delle mille “zavorre d’Italia”. Tra caste, dieci, cento, mille albi, ordini professionali, esami di stato, l’Italia corre il rischio non più di restare bloccata, che ormai quello è un fatto usuale da almeno trent’anni, quanto piuttosto di prendere la via del declino. Un discesa senza ritorno, che trascina con se la fiducia dei migliori laureati, le fatiche dei giovani che vorrebbero essere presi in considerazione, la tenacia di chi vuole una possibilità nel suo paese senza dover “chiedere il permesso” per lavorare e produrre. E’ sotto gli occhi di tutti anche, e Catricalà non teme di dirlo, il comportamento di una classe dirigente che usa le ricette elettorali per salire sugli scranni, senza mai passare dalle parole ai fatti. La liberalizzazione, l’apertura del mercato del lavoro, sono le uniche soluzioni per l’Italia, ma a quanto pare nessuno ha voglia di rimboccarsi le maniche.

“Zavorre d’Italia” non ha la presunzione di risolvere i problemi in poche pagine, ma si limita a fare un viaggio all’interno della legislazione nazionale e regionale, che soffoca la concorrenza del Paese più vecchio d’Europa e con una fuga di cervelli dalle percentuali sconcertanti. Forse bisognerebbe guardarsi indietro, rivedere lo stile dei vecchi ’60, e cercare di riproporre quei ritmi a scapito finalmente degli infiniti interressi corporativi che stanno annegando l’Italia: un paese che non sa cambiare.

Addii precoci

Domenica 2 gennaio se n´è andato a 79 anni Sisto Dalla Palma, fondatore e presidente del Crt, il Centro di ricerca Teatrale di Milano, una delle prime realtà istituzionali per l’innovazione e la sperimentazione.

Da 1974, anno di nascita del Crt, Sisto Dalla Palma ha svolto un ruolo importante a favore della ricerca promuovendo e sostenendo nel suo teatro le diverse ondate dell’innovazione teatrale dagli anni Settanta ad oggi.

Fondamentale il suo magistero di Storia del teatro all´Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

 

Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo, nel suo personale quadrilatero milanese fra il Salone CRT di Via Ulisse Dini, il Teatro dell´Arte alla Triennale, l´Università Cattolica e per qualche anno al Teatro della 14a, sa quanto da oggi mancheranno le sue visioni, i suoi excursus sul teatro come arte mai disgiunta dall´impegno culturale e civile al tempo stesso.
Mancheranno alle nuove generazioni le sue lezioni, le sue esortazioni verso un teatro solo apparentemente di altri tempi, perché pone al centro l´uomo e la sua storia.

 A chi si sforzava a sintonizzarsi sulle sue frequenze culturali di livello superiore, fatte di citazioni alte e cultura popolare, ricordi personali e immagini da condividere, mancherà l´idea che c´è, comunque, in uno dei suoi uffici, la sua presenza mitica, difficile e a volte burbera, ma che sapeva sciogliersi nei momenti meno ufficiali: a tavola ad esempio; o quando, aprendo la sua immancabile borsa in pelle, ci rovistava dentro con le sue grandi mani e gli occhiali alzati sulla fronte, cercando forse fra i tanti i ricordi e immagini che si portava dietro, le più adatte ad affascinare il suo uditorio, spesso trasportandolo in altri luoghi e in altri tempi… come solo il teatro, quello vero, sa fare.

Un ricordo di Gaetano Tramontana, direttore artistico della compagnia teatrale Spazio Teatro, Reggio Calabria

A testa in giù

Chi si aspettava un libro di filosofia ha capito ancora ben poco del fenomeno “mafia”. Perché poi la mafia, non è un fenomeno. Loro hanno pensato bene di farla diventare o di farla restare un fatto meramente culturale, una sorta di atto folkloristico da illustrare al turista di turno; invece la mafia esiste, e quando si tratta di ‘ndrangheta, nel caso specifico, viene fuori un’immagine della Calabria, che se proviamo a rivoltarla, come le tasche della nostra giacca, ci rovesciamo addosso un’infinità di immondizie.

E’ un’inchiesta fresca fresca di stampa, quella che Nino Amadore porta avanti in “La Calabria sottosopra”. Uscito per i tipi della Rubettino editore di Soveria Mannelli, “La Calabria sottosopra” ha appena 115 pagine (euro 12), ma sono abbastanza per decidere di mettere a nudo un volto sconosciuto ai più, o per tutti quelli che fanno finta di non vedere o che magari credono che la ‘ndrangheta possa estirparsi facilmente: basta denunciare. Si, la lotta contro l’illegalità è un buon punto di partenza, ma non basta, perché la ‘ndrangheta in Calabria, ce l’abbiamo fin dentro casa, fin dentro le mura delle nostre scuole, nelle aule delle università, in luoghi dove dovrebbe regnare la giustizia. E invece i mafiosi moderni, hanno appeso al chiodo coppola e lupara, hanno mandato i figli a studiare e poi gli hanno insegnato il metodo. Gli uomini della mafia adesso, non sono soggetti sollecitati al crimine, che rappresentano pedine facili in punti chiave del sistema Paese, ma sono quei figli stessi che cresciuti e pasciuti all’ombra della connivenza, hanno occupato gli scranni istituzionali. Vi pare poco ? Per Nino Amadore, giornalista messinese e oggi redattore de Il Sole 24 ore, a Palermo, da vent’anni sulla notizia e da sempre a caccia di notizie scottanti e inchieste scomode, è anche abbastanza per affermare che la ‘ndrangheta è un cancro, anzi una vera e propria “classe dirigente” che ha imparato a stare nei salotti buoni, negli enti locali, persino nelle logge massoniche.

“La Calabria sottosopra”, la cui prefazione è affidata a Francesco Gaeta, apre un quadro sconcertante dove non c’è salvezza per nessuno, ognuno ha il suo peccato: soprattutto i calabresi, che di futuro né come verbo né come prospettiva, non ne vogliono sapere.