Donzelli a Reggio Calabria

E’ un viaggio che parte da lontano. In quella narrativa bizzarra si accendono macchie irrisolte, colori che fanno condensa col proprio cromatismo, richiami d’intima impressione che tessono lo sguardo fuori dal reale. Le icone si rincorrono come in un gioco delle parti. Più che una tela, una pellicola a tinte forti di un secolo lungo cent’anni, che non guarda sommessamente indietro a capo chino e gremito dai mille ricordi nostalgici, come di qualcosa che non c’è più. Anzi è un tempo che rimanda mille domande e mille proposte ad un’arte contemporanea, che sembra aver smarrito i suoi miti migliori lasciandosi abbindolare da sperimentalismi disumani. Colore, gocce, legno, disegno, rievocazioni fumettistiche, cartoni animati, questo è il mondo sopravvissuto che non anela alla polvere del tempo, ma si agita ancora nel groviglio di grandi artisti, nelle mani di grandi geni. Bruno Donzelli si accosta alla materia celebrandone la vita intrinseca, la magia raccolta nell’antro del colore, la perdurante ricerca di un futurismo sempre pronto a rinnovare la sua identità.

Viaggio informale, da Reggio Calabria a Miami, Bruno Donzelli si ripropone con un’antologia non certo sommessa. Fin da giovanissimo Donzelli deve fare i conti con i critici italiani, che ne riconoscono l’autenticità intellettuale. Oggi grida ancora, con tempra disinvolta, il suo attraversare distinto, il grande libro dell’arte del ‘900.

La personale dell’artista campano, inaugurata lo scorso 13 novembre, sarà disponibile sino al 5 dicembre presso la Galleria Toma di Reggio Calabria, una delle poche che “osa” dare spazio al “diverso”. E’ vero che la città dello Stretto ha una lunga tradizione figurativa, anche di qualità, ma questo non significa che la pittura informale non abbia il suo messaggio.

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Un “incontro a Sud”

Il contesto calabrese e reggino contemporaneo, si è accostato con difficoltà e circospezione alle problematiche artistiche, che dal 1950 in poi erano fervidamente vivaci su tutto il territorio nazionale. Un ambiente ostile e lontano dalle attenzioni della critica nazionale, accolse gli esuli D’Ambrosi, Malice, Monaco, da Napoli sbarcati a Reggio Calabria patria del figurativo con radici ben salde nell’800 di Benassai, Salazar, Lavagna – Fieschi e in quella ricerca figurativa di chiara marca impressionista o di profondo intimismo, o di estrazione cubista, che poi attraversò la prima metà del ‘900. Un’analisi di natura classica a Reggio, continuava da sempre ad agganciarsi alla tradizione. Probabilmente per diverse cause legate ai fondamenti religiosi della società calabrese; alla mancanza di “scuole” o “maestri”, perdendo l’occasione di un’apertura linguistica; ma soprattutto, per non aver vissuto in prima persona le vicende della storia artistica contemporanea né subito la trasformazione industriale, persistendo un sistema contadino e post feudale. La stessa istruzione artistica non era presente a Reggio Calabria. Almeno fino al 1929, anno in cui Alfonso Frangipane, creò la prima scuola d’arte della città dello Stretto.

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Innamorarsi dell’Italia

«Non leggerete in questo libro di particolari teorie sulla difesa dell’arte». Si apre con questo scenario l’ultima e incisiva “fatica” di Vittorio Sgarbi: Viaggio sentimentale nell’Italia dei desideri, edito Bompiani.

Chi non lo conosce per i suoi eccessi, i suoi bisticci in prima serata e le molteplici conquiste femminili ? Ma Vittorio Sgarbi, critico, scrittore, storico dell’arte, forse il più acuto dei nostri tempi, si mantiene fedele ad una sola passione: l’arte. Al di sopra di tutto e di “tutte”, l’arte è un’amante che lo divora da sempre e lo stesso ammette, che non potrebbe avere un’esistenza lontana dalla sua «estasi artistica».

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I percorsi della lingua italiana

L’Italia. Paese di santi, eroi e playboy, ultimamente. E i poeti ? E gli scrittori ? Per Gian Luigi Beccaria, parente di quell’altro Beccaria, non il Cesare, che si scagliava contro la pena di morte, ma del Giovambattista, che fece della fisica la sua ragione di vita, insomma per il Beccaria dei nostri tempi, narratori e poeti ormai non contano più, almeno per quanto concerne la norma linguistica. «Le fonti sono altre», spiega. Mass media e televisione fanno la loro parte in questo mare magnum di parole nuove, fatte e disfatte nell’arco di una primavera. Ma anche politica, informatica, uso dei cellulari e dei network, un’insalata mista che non giova all’italiano, pur difendendo a spada tratta ancora qualche primato: la musica, il bel canto, l’arte.

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