Calabria: universo primordiale

EuDemonia esplora il “daimon” della donna. Lo ferma in immagini rarefatte, in effetti essenziali, in colori polverosi, nel bianco e nel nero di una fotografia ispirata. L’ispirazione è la natura. Rupestre, aspra, ruvida, magica, primordiale: è la Calabria. Nei suoi effetti estremi, incarna elementi mitici, paesaggi senza confine, ambienti primitivi, energie vitali che gonfiano il ventre dell’Universo.

EuDemonia, (96 pagg., euro 50, edizioni Paideia Firenze – Collana Palazzo Spinelli Arte) è anche il titolo di un’opera fotografica e poetica, che riscatta la Calabria.

 Luoghi di solitudine, dove il sole a picco effonde le sue inquietudini roventi, dove la polvere del tempo, le correnti del mare e i venti sofferenti, imprimono il volto agli atomi. In modo disinvolto la materia si fonde con la creatura umana.

Una donna, una Circe post contemporanea, al suono di versi ancestrali, ricompone la relazione originaria tra creatura e creatura.

Il catalogo si avvale di 44 fotografie artistiche, scattate da Fabrizio Portalupi, regista, fotografo e scrittore. Il volto e il corpo, sono quelli di Elisabetta Coraini, attrice dall’intensità tragica e sensuale, che incarna in pieno il trapasso mistico dal ferino all’angelo, da un’esistenza ad un’altra esistenza. I versi hanno la voce antica di Giuseppina Amodei, calabrese d’origine e toscana d’adozione, che impregna il teatro cosmico della rappresentazione fotografica di voci sussurrate, che si rincorrono, e nel loro dipanarsi inondano la coscienza dell’uomo a riappropriarsi della sua identità, della sua appartenenza al mondo. Il sovrumano trapela dai gesti, il paradiso si nasconde nelle aride spiagge di Ferruzzano, costa jonica reggina, nelle petrose pareti scoscese dell’Aspromonte. Evocazioni potenti, dove la nudità femminile selvaggia e impudica inneggia all’energia, alla passione esistenziale, a riscoprire la verginità dell’Universo.

EuDemonia (prefazione di Dante Maffei e postfazione di Santo Gioffré, assessore alla cultura della Provincia di Reggio Calabria) è la seconda parte di una trilogia; il prologo è l’opera Femina fera, dove a fare da protagonisti sono i luoghi della Lombardia, del Piemonte e della Camargue.

 

“Malanova”… chi mi hannu

«Io sono la Malanova per chi ha abusato di me, perché non mi fermerò se non davanti alla verità. Io sono la Malanova per chi non crede nella forza delle donne. Io sono la Malanova per quelle madri e quelle mogli che difendono i loro mariti e i loro figli, per timore, abitudine, ignoranza. Io sono la Malanova per chi nella mia terra ha paura di denunciare, di rompere il silenzio, di cambiare. Io sono la Malanova perché cerco l’amore».

E’ la formula di liberazione, che recita Anna Maria Scarfò nel silenzio della sua casa, nello spazio ristretto della sua esistenza. Ma meglio così, meglio morire per la verità, che soffocare nella polvere della campagna dove il branco la costringeva a rapporti sessuali perversi, ripetuti e violenti. Prima oggetto, poi debito, e poi ancora favore. Anna Maria Scarfò tredici anni appena, è stata questo, sotto gli occhi di tutti, sotto l’ombra impassibile della comunità di San Martino di Taurianova, escluso nessuno, nemmeno la Chiesa, nemmeno quelli che non sono mafiosi, brava gente, lavoratori onesti, ma che restano complici del vizio e del crimine, con l’omertà. E’ questa la Calabria ? Io da calabrese me lo chiedo. Io da donna me lo chiedo: sono questi gli uomini ?

Malanova, edito Sperling & Kupfer (194 pagg., euro 17), scritto da Cristina Zagaria insieme ad Anna Maria Scarfò, racconta una storia «con due anime». «Quella nera e quella della resistenza – spiega Cristina Zagaria – quella di Anna Maria, che non si arrende mai reagendo in maniera costruttiva». Quando viene violentata da Domenico Cucinotta, Domenico Cutrupi, i fratelli Domenico e Michele Iannello, è la notte di Pasqua; Anna Maria ha solo tredici anni, ma nella libido malata dei quattro e poi di tutti gli altri (Serafino Trinci, Vincenzo La Torre, Maurizio Hanaman, Antonio Cianci, Fabio Piccolo, Giuseppe Chirico, Vincenzo Minniti), che abusano di lei fino all’età di sedici anni, è una bambola e basta. La si può sbattere per terra, la si può spogliare, la si può depositare su una mensola, la si può prendere quando si vuole. Da quel momento Anna Maria Scarfò, troppo bambina per comprendere la gravità della punizione che le hanno inflitto, si comporta come un automa. E’ una bambola, perché Anna Maria è morta. La paura, la vergogna, le minacce, i calci, i pugni e la persecuzione continua, fanno il resto. Fino a quando Anna Maria, giunge al punto del non ritorno e il dolore è talmente forte, che prende il sopravvento sulla paura. Come il toro che infuria nell’arena, e per disperazione incorna il torero senza lasciargli scampo. Quando le dicono di portarsi dietro la sorella, ormai in fiore, Anna Maria reagisce. E denuncia, finalmente. I carabinieri le credono, la famiglia le crede, l’avvocatessa Rosalba Sciarrone le crede, lo Stato le crede. Solo San Martino di Taurianova non sa da quale parte sta la verità. Mi chiedo, ancora: anche questa è Calabria ? La mia Calabria ? Quella che non voglio lasciare ? Ma vale la pena di resistere in questa terra, dove il codice d’onore ha più importanza della voce di una donna? Vale la pena, se la Calabria è anche Anna Maria!

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In risposta ad un commento

Che Yoani Sanchez venga pagata (probabilmente, forse, può essere, non si sa..) dalla Cia o da qualunque altra associazione anticastrista americana e non, a me, francamente, non interessa! Il fatto che io abbia pubblicato un breve articolo su questa persona, non vuol dire che io sia dalla sua parte, né che sia una fans sfegatata di questa blogger e del suo agire. Ne ho parlato semplicemente perché è una donna; e qualunque sia la sua posizione in merito al governo di Fidel Castro o in merito ai rapporti con gli Stati Uniti, per me resta sempre una donna audace, sia nell’uno che nell’altro senso. Io qui non sto a giudicare se sia sbagliato o meno quello che fa, non sono io che la devo redarguire, sarà la storia e saranno i suoi stessi connazionali, che comunque in questo momento, non possiamo negarlo, vivono una fase di “transizione” rispetto al resto dell’America latina, che è storica. Ancor più se si pensa, che forse Cuba è uno degli ultimi paesi, magari l’unico, a mantenere un modello socialista. Da questo punto di vista forse mi potrebbe interessare capire, se ciò che dice Yoani Sanchez sia verità o menzogna. Ma per farlo dovrei trasferirmi per qualche tempo sull’isola caraibica e toccare con mano la realtà locale, e non certo da turista. Solo parlando con la gente, percorrendo le strade di Cuba credo che si possano conoscere le verità del popolo. Qualcuno lo ha fatto ed io non sono certo la più titolata ad occuparmi di questioni politiche internazionali. Ma tant’è ! Di certo so una cosa; che qualunque modello inventato dall’uomo è fallace. Mi spiego meglio. Il modello socialista è sicuramente quello che maggiormente promuove la perequazione sociale, tentando un’adeguata distribuzione della ricchezza e garantendo i servizi sociali minimi, specie istruzione e sanità. In questo Cuba non si discosta.

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La Calabria dell’800 vista con occhi inglesi

Nel XIX secolo i calabresi sono ancora considerati “i selvaggi d’Europa”. Non che le cose oggi siano cambiate di molto, tanto che bisogna sopportare gli eredi dei barbari che tacciano di “inciviltà”/illegalità e quant’altro gli eredi della Magna Grecia, patria di civiltà e democrazia, ma almeno chi è venuto al Sud e ne ha toccato con mano la realtà locale, comprende subito che le cose sono ben diverse rispetto alle favole che ci raccontano. Emblematica una battuta di un recente film sul Mezzogiorno d’Italia: «chi viene al Sud piange due volte; una volta quando arriva e una quando se ne va». E’ il caso di Philip James Elmhirst, ufficiale della marina britannica, che per un caso disgraziato viene catturato nei pressi delle coste calabresi. E qui scopre che ci sono diverse “Calabrie”.

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Lifestyle informale

 

Se la solita cena a base di noia e perbenismo vi angustia, e se il solito ristorante, quello che scelgono tutte le vostre amiche del cuore, non fa per voi, se il vostro stile è troppo personale e non avete voglia di propinare un menù riscaldato, nulla vi impedisce di dare un’impronta originale al wedding. Di certo sarà il matrimonio dell’anno, se gli sposi saranno in grado di optare finalmente per una cerimonia del tutto individuale.

Budget a parte, si può inaugurare la nuova vita in due, dando sfogo a tutte le idee che vi saltano per la mente, evitando, se possibile, il folclore da giochi pirotecnici o la serata danzante condita con i balli sociali della nonna. Il banchetto delle nozze deve suggerire freschezza, non solo per il gourmet che deve risultare ricco/genuino/decorativo/fantasioso, ma anche per quel tocco in più, che è l’espressione massima della personalità dei festeggiati. In questo, ci vengono in aiuto le curiosità di oltre Manica, che addirittura propongono di rinnovare il buffet con una tavola coloratissima di golose caramelle. Non sarebbe solo il paradiso dei bambini, ma anche una simpatica proposta che inframmezza la cena in piedi, o anticipa i dolci più complessi come la torta nuziale. Liquirizie, cioccolatini, caramelle, gelatine, chupachups e molto altro trasformeranno il vostro buffet in una delizia per il palato e per gli occhi. E poi perché non rivalutare il romantico confetto? Ecco allora l’idea di mescolarlo assieme alle altre leccornie, con forme e colori innovativi e rigorosamente naturali, per viziare di gusto e ricercatezza il vostro matrimonio. Vi sembra troppo ? Niente affatto. Soprattutto per chi si sposa in autunno o d’inverno, il colore può diventare senza traumi eccessivi, il vero protagonista del matrimonio che avete sempre sognato.

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Quando la politica fa il verso alla religione!

Così ha parlato Giuseppe Scopelliti, presidente della Regione Calabria, all’apertura della Settimana Sociale, che quest’anno si tiene a Reggio Calabria fino a domenica 17 ottobre.

Voglio anzitutto ringraziare la Conferenza Episcopale Italiana per la scelta di tenere qui in Calabria questa 46ª Settimana Sociale, una scelta che conferma l’attenzione speciale di tutta la Chiesa italiana verso il nostro Meridione “da guardare con amore”, così come sottolinea il recente documento su “Chiesa italiana e Mezzogiorno”, un testo per il quale come uomo politico, come uomo del sud e come credente desidero ringraziarvi. Il mio è un grazie per tutto ciò che la Chiesa continua ad essere nella nostra realtà meridionale, per il suo essere stimolo e fermento di quella volontà di riscatto che le nostre popolazioni portano dentro con sempre più coraggio e determinazione.

La politica oggi in Calabria, nonostante tutte le sue difficoltà, sente di trovarsi di fronte ad un momento storico molto delicato e sa perciò di avere delle responsabilità grandi di fronte al futuro che si apre per la nostra terra. Il vostro documento preparatorio delinea molto bene i contorni del contesto storico ed economico in cui ci troviamo, un tempo che richiede decisioni forti e talvolta difficili. Insieme siamo chiamati a guardare al futuro per sapere costruire una prospettiva di speranza per questa terra e per questo nostro paese. È davvero interessante l’idea di “un’agenda di speranza” che avete posto come tema ma anche come impegno per questa Settimana Sociale. Agenda «da compilare non a tavolino ma compiendo un’opera di riflessione che permetta di coinvolgere, da subito, molti di coloro che si stanno impegnando seriamente per il bene comune del Paese e per trovare le vie concrete per conseguirlo».

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Ancora “Corrispondenze dal Sud”

 

In una recente manifestazione si è parlato di un “una nuova idea del Sud”. Forse si ha voglia di far capire agli altri, che l’identità del Meridione è cosa ben più seria dei secolari luoghi comuni che hanno accompagnato la nostra storia. Ma “l’altro Sud” non è l’icona di un’utopia, di un desiderio solo bramato; l’altro Sud esiste, ed erano appena gli anni Cinquanta, con ancora dietro l’angolo le macerie dei conflitti mondiali, quando Mario La Cava tratteggiava i confini nitidi e tenaci, di una realtà del Sud che esso stesso contribuiva a promuovere.

Corrispondenze  dal Sud Italia, di Mario La Cava, a cura di Gaetano Briguglio e pubblicato da Città del Sole (pagg. 123, euro 12), va letto con cura e attenzione disinvolta, perché ciò che ne viene fuori è un documento personale ma critico di ciò che è il Sud, il vero e l’unico Sud possibile. Mario La Cava è un intellettuale sensibile, che tuttavia ha scelto di vivere lontano dalle “passerelle” mondane; il suo attaccamento al paese natio della costa jonica della Calabria grecanica, lo spinge a tralasciare l’idea di spostarsi nel Nord Italia, pur essendosi formato tra Reggio Calabria, Roma, Siena. Ma l’amore per la propria terra è forse un cancro più terribile della nostalgia che potrebbe recare una fuga repentina dalla Calabria. Ed è così che di La Cava ci restano una miriade di articoli e lettere sparse nella più disparata stampa nazionale e locale, laddove tinteggiava con toni lusinghieri e veraci il ritratto di un Mezzogiorno sempre rigettato dal rigore nazionale, e che ancora oggi gli addebita le colpe di una crisi economica mondiale. La Cava non lesina le denunce dei mali maggiori del popolo meridionale, ma non autocensura nulla, nemmeno ciò che di buono e sano si rinviene  nell’antropologia della sua gente.

Fioccano così le riconoscenze verso quella classe intellettuale nascosta nelle biblioteche, nei musei, nelle soprintendenze, nelle scuole e nelle redazioni precarie della regione, senza far passare inosservate le antiche glorie storiche e artistiche. Non ha parole dolci invece, per le amministrazioni politiche, razza perversa alla quale, per onestà intellettuale non volle mai mischiarsi. Meglio parlare dai giornali, dai quali La Cava ebbe l’opportunità di intessere una discussione, che non divenne mai polemica, con Montale.

L’opera ci è pervenuta postuma in seguito alla dipartita di Briguglio lo scorso maggio, illuminato docente, profondo conoscitore del pensiero di Meister Eckart, già sindaco di Bivongi.

Spose preziose e fuori dalle righe

Voglia di osare ? La sposa del nuovo millennio, si divide fra sogno e realtà tecnologica, fra dimensioni intimiste e sexy proposte. Il fiabesco abito da sposa si mischia alle scollature piene o alle schiene decisamente scoperte, agli inserti colorati e ai dettagli anticonformisti. Ma rompere con la tradizione, non significa rinunciare ad essere “principessa per un giorno”.

Le atmosfere romantiche del matrimonio all’italiana rimangono intramontabili, ma oggi devono fare i conti con una sposa da “red carpet”, che assomiglia ad Angelina Jolie, Scarlett Johansson o Monica Bellucci. Straordinariamente “cool” ed esagerate, fasciate in abiti freschi e disinvolti che trasformano la sposa moderna in una vera lady Moon, una diva post contemporanea, che fa pendant con lo stile determinato delle nuove e più emancipate brave ragazze/city girl.

L’abito da sposa, per l’evento più importante della propria vita, resta sempre l’icona dell’haute couture, allineandosi al ritorno del bianco puro, alle linee effimere e strizzate della sirena maliarda o al cliché sempre in voga del tulle morbido. Nelle collezioni 2011 c’è una predilezione per le spalle scoperte o per le bretelline sagomate, magari monospallina, o con accessori che sottolineano certe forme esili. Via libera ai fiori, al pizzo chantilly, alle ruche, ai volants, al plissettato e all’abbondanza di balze. Comunque sia l’abito da sposa rimane nelle fantasie private di tutte le donne, anche delle più incallite femministe. E allora perché non concedersi una mise, che non passa inosservata e che non sia solo “l’uniforme delle nozze”, ma una sorprendente e raffinata interpretazione di sé stessi!

Boccioni, profeta della pittura moderna

Il 19 ottobre è l’anniversario della nascita (Reggio Calabria 1882) di Umberto Boccioni. Chi non ha contezza del suo genio ? La storia dell’arte universale lo ha consacrato come maestro indiscusso del futurismo, inziatore di un movimento d’avanguardia che ha lasciato il segno in tutta la pittura e la scultura post bellica. Nel mito della velocità, dell’energia, del pugno e dello schiaffo, ma soprattutto dell’intuizione sperimentale, Boccioni manifestò la visione evoluzionistica del mondo attuale. 

La promiscuità fra arte e vita per il Boccioni futurista, anticipa di gran lunga la genesi della pittura moderna. Passatismo, naturalismo, divisionismo, post impressionismo, cubismo, sono ormai il vecchio con cui Boccioni rifiuta di dialogare, in una seria e personale intraprendenza del concetto di “materia vivente”: la forma, la linea, sono solo l’involucro della materia incandescente che si sviluppa dentro i corpi; la luce, il contrasto, la simultaneità dei movimenti, la compenetrazione quasi liquida delle atmosfere e delle superfici materiche, il dinamismo della vita umana, sono la fonte sublime da cui Boccioni trae genialità. E si dispera nel cesellare queste convinzioni, di fronte ad un Marinetti che pian piano scade nell’arruolamento teorico al fascismo e un primo Balla, che benché maestro, resta impigliato nella fissità dei corpi. I voli pindarici di Umberto Boccioni, lo spingono oltre il confine esanime del folclore ottocentesco; l’universalità delle sue idee artistiche, lo portano ad essere censurato dallo stesso Marinetti, ma lo legano alla cosmicità del tempo e della forma, alla lunghezza del movimento come alla durata del tempo, secondo la filosofia bergsoniana.

Il movimento del corpo, può paragonarsi al flusso di coscienza privo della parcellizzazione dei minuti, dunque senza linee visibili, ma scorrimento indistinto dello spostamento in avanti, sia esso materia o ore in una dimensione intangibile. Un esempio manifesto in alcune fra le opere più note, Dinamismo di un footballer (1913, olio su tela, Museum of Modern Art, New York) e la fusione in bronzo del cosiddetto “camminatore”, ovvero Forme uniche della continuità dello spazio (1913, bronzo, Museo Civico di Arte contemporanea, Milano).

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L’arte nascosta di Reggio

La “Carta archeologica” è un documento eccezionale che solo poche città, hanno avuto il tempo e la voglia di organizzare. Tra queste Modena, Cagliari, Firenze e Ravenna. In questo elenco manca, purtroppo, la capitale, ma si viene ad aggiungere Reggio Calabria, la più antica colonia greca meridionale, che a breve già alle stampe, avrà il suo Repertorio della Carta Archeologica della Città di Reggio Calabria. Curata dall’associazione degli Amici del Museo, l’opera è frutto del lavoro di Franco Arillotta, insieme all’ausilio di giovani volenterosi del reggino e  del messinese. Franco Arillotta, è uno degli storici più quotati di cui dispone la città dello Stretto, deputato della Storia Patria, oggi è anche docente della Storia di Reggio Calabria, presso l’Università Mediterranea, ma da anni svolge un’intensa attività informativa attraverso l’associazione Amici del Museo, che quest’anno ha dedicato la VII giornata mondiale all’ “Arte nascosta”. Dal fronte dei quotidiani e delle riviste più disparate, Franco Arillotta lancia moniti in ricordo della memoria reggina, che tra la Magna Grecia e l’Impero Romano, sembra aver conosciuto momenti di gloria e splendori senza eguali.

Sotto le odierne strade di Reggio Calabria si celano tesori incredibili, disposizioni architettoniche e artistiche di cui nemmeno immaginiamo l’importanza. Eppure, da reggini dovremmo conoscere il valore delle “pietre”, che quotidianamente calpestiamo nella solita passeggiata o nella traversata veloce verso il lavoro. Sotto i nostri piedi distratti, un mare magnum di storia, tessere di un mosaico che rimandano l’immagine di una Reggio ricchissima di attività commerciali, rapporti internazionali, palazzi, arte, templi e terme. Un tempo che ci onora e ci fa pensare, che forse potremmo riportare in auge quell’antico apogeo. Ciò che si rileva è un sordido silenzio però, e una grande assenza: la Soprintendenza archeologica della Calabria. In trent’anni di cambiamenti al vertice, l’equipe che normalmente è demandata ad aggiornare il mondo scientifico sull’andamento degli scavi e dei ritrovamenti, specie in un’area ricca archeologicamente come la Calabria, sembra invece inesistente. Archeologi e compagnia bella, dunque, dobbiamo dire apertamente, “non fanno il proprio dovere”. Perché ? Eppure nell’800 gli archeologi reggini/calabresi erano fra i più attivi, e in soli tre mesi erano in grado di recuperare, studiare, catalogare e pubblicare: oggi tutto questo è un’utopia. Franco Arillotta è uno di quegli appassionati che non lesina le denunce, ma il silenzio sembra regnare indisturbato; in fondo l’archeologia fa meno rumore della politica, e fa vendere anche meno giornali. Come dire “scurdamece ‘o passato”!

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