Donne stuprano donna: orrore!!

 

Cinque giovani donne francesi, quattro delle quali minorenni, sono state incriminate per violenza carnale su una ventinovenne di Lille, nel nord della Francia, durante un’azione punitiva motivata da una rivalità in amore. La più anziana delle “aggreditrici”, 27 anni, accusava la vittima di averle rubato il fidanzato. Per questo, nella notte tra il 19 e il 20 agosto, ha convinto le compagne a seguirla in una spedizione punitiva contro l’abitazione della ventinovenne, che è stata aggredita e seviziata per diverse ore, infine stuprata con un oggetto, mentre la casa era sottoposta ad un vero e proprio saccheggio. L’unico ad essere risparmiato, il figlio della vittima, di appena due anni, che si trovava nell’appartamento al momento dei fatti. Due delle accusate, tra cui l’unica maggiorenne, si trovano in detenzione provvisoria in attesa del processo, mentre le altre tre sono in libertà condizionata. Sono sotto accusa per stupro collettivo, furto e violenza aggravata, secondo quanto riferiscono fonti giudiziarie.

E vorremmo condannare gli uomini ? Ma se arriviamo a tanto orrore già noi donne, incapaci di incassare una sconfitta amorosa e di andarcene a testa alta, allora non pretendiamo di avere rispetto dai nostri uomini. Questa notizia ci sconvolge, ci terrorizza, ci fa pensare che essere donna sia una rovina, una disgrazia. Colei che dovrebbe preservare, creare e curare, distrugge e brutalizza …. Perché le donne si stanno trasformando in orrende virago ? Non riusciamo a trovare parole per giustificare un tale atto.

150 anni di “unità precaria”

Doccia fredda. Il Sottosegretario Pizza, durante l’incontro alla Prefettura di Palermo dei giorni scorsi, con i rappresentanti della regione Sicilia ha chiaramente negato, secondo quanto riferito da Barbara Evola, “portavoce dei precari della scuola in lotta di Palermo”, in un comunicato, «la possibilità di un aumento di organico, perché non c’è alcuna possibilità di intervenire sui tagli, né alcun margine di intervento sulla riforma della scuola». L’unica misura tampone possibile rimangono “il salva-precari e i progetti regionali”.

«Penso che anche sul precariato della scuola, attraverso un’intesa forte con la regione Sicilia, il governo riesca a riparare almeno in parte al problema». Sono state queste le dichiarazioni dell’On. Pizza a margine dell’incontro avvenuto e riportate da alcune testate online. Ma ha anche aggiunto l’intenzione di «far leva sul turn over progressivamente per assorbire queste sacche, soprattutto in una regione come la Sicilia colpita più di altre dalla recessione economica».

Un’affermazione non definita nei contorni, che lascerebbe intendere una maggiore attenzione nella distribuzione dei posti destinati alle immissioni in ruolo dei prossimi anni. Sono comunque affermazioni che scontentano i precari, i quali non sono intenzionati a smettere la protesta e lascia sulle spalle della Sicilia l’onere di farsi carico dei tagli decisi centralmente attraverso l’uso delle risorse destinate allo sviluppo, i fondi Fas.

Un atteggiamento, quello del governo centrale, ingiustificato nei confronti di una regione a statuto autonomo, dal momento che, come sottolineato dal Governatore Lombardo in una lettera inviata al Ministro Gelmini, «le determinazioni statali hanno interferito con competenze proprie della regione, ledendo un principio costituzionale». E il tutto alla vigilia, forse, del varo della riforma federale.

Strano come, però, al Piemonte siano stati concessi posti in deroga contro i tagli con 240 posti tra sostegno e Ata, secondo quanto riferito da La Stampa, edizione Torino. Oppure in Toscana, dove il Governo si è impegnato per un aumento del tempo pieno.

A quanto pare le riforme e i tagli non possono essere derogati in base alla regione richiedente: ordinaria amministrazione di un secolare discrimine fra Nord e Sud, che continua a distinguere fra insegnanti di serie A e insegnanti di serie B. Non è solo un attacco al “posto pubblico”, ma è un vero massacro della scuola, un’operazione ideologica che affossa la cultura e con essa il Meridione, che così, non avrà più vie di riscatto, né lavorative né di studio.

Appuntamento con l’autore/1

Di Adriano Modica su questo blog, avete già sentito parlare. Che sia uno dei nostri cantautori preferiti (oltre che concittadino), è chiaro, ed è per questo che vi proponiamo un’intervista integrale, con la quale finalmente abbiamo avuto l’onore di carpire il suo pensiero. Vagabondo com’è, sempre in giro per le strade d’Italia, il cantautore per meta calabrese e per metà siciliano, lo abbiamo sentito per un approfondimento legato alla musica indipendente, come genere, ma anche come condizione, come scelta … Ecco cosa dice Adriano Modica, che speriamo di rivedere al più presto sui palcoscenici più importanti, a raccontarci le sue idee, a cantarci le microstorie di noi uomini e donne, contemporanei meridionali.

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Donnine che incantano

Mostri fuori e dentro di noi. L’immaginario e il surreale, il pensiero e la realtà, la facciata e la verità. Donnine curate, glamour, romantiche come i fidanzatini di Peynet, si fanno strada nel mondo dell’arte. Un po’ mistero, un po’ manequinn, un po’ cartone animato stile Candy Candy, la donna di Daria Piromalli è il volto pensante della post modernità.

Con “Mostri sopra le nostre teste”, si inaugura alla Tag Art Shop Gallery di Reggio Calabria, la prima personale della reggina Daria Piromalli, fuggita dal mare dello Stretto per rifugiarsi al Naba (Nuova Accademia delle Belle Arti) di Milano, dove oggi vive e lavora. Con soli venticinque anni sulle spalle, Daria stessa appare come l’immagine in carne ed ossa delle sue donnine virtuali; non ancora donna, non più bambina. Sono così anche le sue illustrazioni, cariche di una femminilità fresca e ancora acerba, lontana dal modello offerto dai media contemporanei. Alla donna tutta curve, Daria offre l’idea di una donna piena di squisita femminilità, rilanciata dai particolari alla moda o dai grandi occhi languidi, che la dicono tutta sul carattere femminile. Oltre, ci sono i mille pensieri reconditi che da sempre, le donne si portano dietro come eredità; fin dalla nascita un groviglio di responsabilità, di atteggiamenti da reiterare senza far trapelare nulla. Ecco i mostri sospesi sulle nostre teste col taglio alla moda, pronti ad essere annaffiati da angosce e dall’onere di essere donna, per sé e per gli altri.

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Appunti di viaggio

 

Giorni di pioggia! La variabilità è quella tipica di una città del Nord Europa; l’aria a volte è chiusa, a Berlino, altre volte, persino in piena estate, gli abbassamenti vertiginosi della temperatura ti tagliano il corpo e l’umido penetra negli indumenti. Di chiuso, a Berlino, c’è anche il carattere delle persone. La prima cosa che impari mettendo piede sul territorio tedesco, è il rigore: una merce che i berlinesi vendono a poco prezzo, anzi svendono. Regole di civiltà però, dovremmo sottolineare, che a noi italiani del Sud appaiono troppo rigide. Rigore, ordine e a volte anche qualche norma incomprensibile, come quelle di non poter portare lo zaino su due spalle o the jacket sul braccio oppure sulla borsa a tracolla; così è, sull’isola dei musei berlinesi. Mi sono chiesta: «ma se ci fanno entrare con borse e quant’altro, che senso ha far cambiare posizione agli oggetti che indossiamo?». Lo zaino va “rigorosamente” su una spalla e the jacket “rigorosamente” legato al bacino o al pube, come direbbe una mia amica in vena yoga! E questa è una stranezza. La seconda è ben più grave.

Nell’era della globalizzazione tutto viaggia liberamente, tutto, uomini/donne/bambini/merci/denaro/animali/servizi… si sposta repentinamente utilizzando la lingua del business, che notoriamente è l’english; ebbene in Germania, no! I tedeschi non parlano l’inglese, non lo capiscono, e cosa più scandalosa, non lo utilizzano per le informazioni rivolte ai turisti. Ora, posso comprendere i pregressi storici, che non fanno sperare in una futura simpatia fra Germania e Inghilterra/Usa, ma almeno le didascalie, nei musei, o sulle opere, dovrebbero essere in inglese. Figuriamoci l’italiano! Non sanno nemmeno che esiste.

Dal punto di vista linguistico, il nostro Bel Paese è come se non stesse sulla cartina geografica dell’Europa (c’è l’Europa ? ah… pensavo fosse solo una questione economica…. E infatti culturalmente non c’è: ogni paese si fa i fatti suoi! Ma almeno puoi pagare in euro). Ausgang invece di Exit, ed Eingang invece di Entrata. C’è da rompersi il capo prima di capirlo. Non è una questione di ignoranza per i berlinesi, come per gli italiani che se sanno tre parole d’inglese è già un miracolo; loro proprio non si sforzano ad utilizzarlo a meno che tu non glielo chieda apertamente. In fondo dovremmo prendere esempio….. magari, noi che siamo così americanizzati!!! E questa è la seconda stranezza.  La terza stranezza, un po’ la immaginavo, data la durezza dei trascorsi storici. The german persons are very colds! E l’accoglienza verso i turisti ? Ne vogliamo parlare ? Non mi riferisco ad albergatori, tassisti, commercianti, in quel caso la gentilezza fa parte del lavoro, ma mi riferisco alla gente comune, specie quella di media età. I giovani ? Beh loro si! Ti rispondono. Ma sempre di fretta. O con una bottiglia di Berlin Pilsener fra le mani. Insomma, chiedere un’informazione a Berlino…. It’s very complicated!!! Per loro è tutto “easy”.

Dunque, facciamo i conti. Niente inglese, niente cortesia all’italiana (a parte qualcuno che si è prestato nel sollevamento della mia valigia al fine di riporla nel vano dell’aereo), niente calore umano. I tedeschi stanno per i fatti loro e non ti invogliano come turista. Sarà che io sono una meridionale con tutti i sacramenti, e magari questo modo di essere l’ho percepito più degli altri. Non me ne vogliate. Però non posso negare che Berlino abbia un fascino tutto particolare.

Venite in Germania. Visitate Berlino! Ne vale davvero la pena: è l’ombelico dell’Europa, dove la cultura, l’arte e la mentalità crescono a vista d’occhio; è quasi fisiologico il cambiamento del tessuto sociale. In soli vent’anni, dalla caduta del vergognoso muro, Berlino è come se fosse risorta dalle macerie.

E’ un luogo pieno di contraddizioni. Da una parte il nazionalismo di cui sopra, dall’altra una sfrenata multi etnicità; da una parte il volto classico e superbo, dall’altra l’espressionismo smisurato degli artisti contemporanei, dell’architettura senza barriere. Tutto può trasformarsi in arte; un angolo, la facciata di un palazzo, un anfratto nel verde dei parchi…  Non solo la porta di Brandeburgo o Aleksander Platz o di fronte ai graffiti del Berlin Mauer o estasiati davanti al volto di Nefertiti o persi fra i mercatini delle pulci e le bancarelle degli artisti di strada o comodamente seduti su una panchina a ingozzarvi di currywurst o plagiati dall’odore del pane con i semi di girasole o ancora sospesi sotto la cupola in cristallo del Reichstag o infine, commossi davanti alle croci dei caduti, davanti al mausoleo degli Ebrei, alle foto color seppia di intere famiglie sterminate come piante da estirpare…. Stare sotto il cielo di Berlino è come stare al centro del mondo!  

Fenomeno indipendente!

 


I JAMBALAYA sono il fenomeno indipendente del 2010. Una band affiancata da circa due anni dalla Toast Records e seguita personalmente dal label manager della storica etichetta torinese, quel Giulio TEDESCHI che negli ultimi trenta anni circa si è divertito a fare e disfare più di una volta la scena musicale italiana.

I JAMBA hanno debuttato a fine 2009 con il minicd Quando vola lo struzzo. Da quella data, l’emblematico pennuto che titola il lavoro ha veramente preso il volo: decine di concerti di fronte ad un bacino pubblico che sommato conta ormai qualche migliaio di persone. Nelle ultime settimane, la corsa del quartetto di ska-jazz piemontese sembra aver preso ulteriore velocità: vittoria il 28 luglio al DEMO JAZZ AWARD 2010, il Premio della nota trasmissione di Radiouno Rai, DEMO, curata da Michael PERGOLANI e Renato MARENGO. Una performance live, il primo giorno d’agosto, in apertura del concerto di due giganti del jazz contemporaneo,  Enrico RAVA ed Stefano BOLLANI, in occasione del Festival di ATINA JAZZ. E il 25 agosto, ospiti dell’undicesima edizione di PIEVE ROCK, ad aprire il set degli ALMAMEGRETTA, i sempre verdi alfieri del dub italiano.

 E se tutto questo sembrava non bastare, eccoli finalisti di RAFFICAMEINDIES, il Contest coordinato da Fabio CANINO e Giordano SANGIORGI dedicato (udite!udite!) a Raffaella CARRA’ e alla sua musica. Il 28 agosto, a Bellaria Igea Marina, nell’ambito del Festival Milleluci i JAMBALAYA incontreranno gli altri due finalisti, Giovanni TRUPPI e THE CASUAL’S. Sarà uno scontro all’ultima nota e che vinca il migliore! I JAMBA, disinibiti come sempre, presenteranno Ma che sera, una versione super gasata ed estiva di un brano scritto per la Raffaella nazionale ad inizio anni ‘70 dal suo mentore, Gianni BONCOMPAGNI. La song è stata smontata ad arte. Trasfigurata da innesti jazzati. Caricata di effervescente forza musicale ed interpretata, per l’occasione, dal bassista della band, Dario BALMAS, che si è scoperto pronto a tutto, anche a vocalizzare uno storico brano di pop-italiano.

Per chi morisse dalla voglia di ascoltare in tempo reale Ma che sera in versione JAMBALAYA, consigliamo caldamente di trafugarlo on-line, su www.myspace.com/toastitrecords. Saremo in tantiquest’estate a ballare sulle sue note.

Altri approfondimenti

http://www.myspace.com/toastitrecords
www.toastit.com

www.audiocoop.it
http://www.myspace.com/jambalayaskajazzband

Mario La Cava spiega il suo Sud

Esce, per le edizioni reggine Città del Sole, l’inedito di Mario La Cava, Corrispondenze dal Sud Italia, raccolta di scritti giornalistici, che ricoprono l’arco di tempo dal 1953 al 1956.

Il volume è stato curato da Gaetano Briguglio, critico letterario scomparso proprio alcuni mesi addietro, dopo aver completato l’ultimo lavoro dedicato all’amico La Cava. La pubblicazione si deve anche grazie alla collaborazione del figlio dello scrittore, Rocco La Cava, che ha messo a disposizione i preziosi documenti del padre. «… anche l’articolo relegato in un recondito giornalino di provincia – dice Briguglio, riferendosi alla vasta produzione dello scrittore bovalinese – può nascondere tra le sue pieghe considerazioni profonde sul mondo che ci circonda e sul tempo che stiamo attraversando».

 Siamo nel vivo della questione meridionale e La Cava intende «dimostrare all’intero paese che i meridionali non sono soltanto braccia da lavoro, buone per tutti gli usi, in tempo di pace e di guerra, ma anche delle teste pensanti che, se impiegate in modo adeguato, possono contribuire a migliorare le condizioni di vita e di incivilimento non solo delle loro terre, ma anche, come in parte stanno già facendo, dell’intera nazione».

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Donna più che mai

 Nella religione della Grecia classica, la kàtharsis consisteva nel rito magico della purificazione, inteso a mondare il corpo e l’anima da ogni contaminazione. In estetica, la catarsi è la purificazione dalle passioni umane, comprese e superate attraverso l’arte. Infine, in psicanalisi, la catarsi è il processo di liberazione da esperienze traumatizzanti o da situazioni conflittuali, ottenuto col farli riaffiorare alla coscienza dell’individuo o col farli rivivere sul piano razionale ed emotivo, rimuovendo dal subconscio gli eventi responsabili di quelle esperienze o situazioni conflittuali. Da questo punto di vista, o da un punto di vista più cristiano/filosofico, possiamo anche parlare di “redenzione”. La catarsi dunque, è una rigenerazione che tocca il corpo e le intime fibre del nostro essere, facendoci sbocciare a nuova vita, scoprendo orizzonti a noi sconosciuti e disponendo la mente e lo spirito a prospettive mai immaginate. Probabilmente, la catarsi, dispone il nostro essere agli altri, la sensibilità della persona redenta o purificata, diventa tale che “l’altro”, non lo si avverte più come un estraneo, ma come l’altra metà di noi stessi, un’altra sfaccettatura del sé a cui avvicinarsi per sentirsi completi. Eppure, l’autrice del testo in questione, Catarsi appunto, ha un sottotitolo esplicito “Donna più di prima”, perché la catarsi vissuta dall’autrice, si è trasformata in una poesia che le ha permesso di rifiorire “a se stessa”. La riflessione ultima di Mirella Michienzi, è rivolta a sé stessa, alla necessità di volersi bene prima di offrirsi agli altri: una sorta di acquisizione di autostima, di amore prolifico per il proprio modo di essere, più che di apparire, e che può lasciare qualcosa agli altri, solo quando questo “amore pulito”, viene messo in circolo a partire da noi stessi.

Donna più di prima, ovvero catarsi, è la voce di un’anima per troppo tempo chiusa dentro un involucro. Un involucro trasparente, che permetteva di vedere, ma non di toccare, ecco finalmente che l’autrice, dopo tanti fogli strappati e appallottolati, dopo tante prove finite nel caminetto, si accinge a lasciarsi andare, senza quei freni inibitori imposti dalla cultura degli uomini, ma con la sola voglia di fare il punto, come donna prima di tutto. E Mirella Michienzi, esce fuori dal bozzolo, riconoscendosi farfalla, come lo splendido ologramma riportato in copertina, che tanto dice della personalità dell’autrice. Una farfalla che si avvale di una scrittura lieve, eppure appassionata; niente è sforzato in questa narrativa limpida e intrisa di sognante lirismo, di poesia raccolta nel guscio dell’anima; i ricordi si accompagnano alla scrittura, come onde schiumose che accompagnano il moto del mare, come turgida brina che accompagna il levare del sole nelle primavere autunnali. E’ un fiorire di immagini, mentre la memoria cavalca disinvolta la pagina per intrecciarsi con una realtà consapevole, che è un traguardo forse e una riva, a cui l’autrice si aggrappa con forza, mite, ma non fragile, la farfalla trova il suo nido nella natura ora rinnovata, nel suo essere “donna più di prima”.

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